Sempre nonostante.

Lo scrivevo nello scorso post, lo ripeto ora: sono così tante le cose di cui vorrei raccontare.
Me lo dico proprio così, con un sospiro, mentre leggo un articolo circa i lati bui della ristorazione su Vice, mentre sto a pancia in giù sul letto, con lui a fianco che scrive al Mac, mentre la lavatrice gira in sottofondo, mentre fuori il cielo si fa blu ed è venerdì, finalmente, venerdì che domani è sabato e non lavoro, rimango a casa, non tocco cibo, non indosso divise.

Oggi ho evitato il mio capo. Evitato esplicitamente, in modo così evidente che dubito lui non l’abbia notato. Anche al momento di andarmene: l’ho salutato, mi ha salutata, ha abbozzato un’altra frase - sapete, quando si fa per pronunciare una parola, ma cambiate idea e il fiato vi si mozza, rimanete a labbra dischiuse per quella frazione di secondo in cui l’altro intuisce tutto -, io ho sorriso, per cortesia, mi sono voltata lentamente.
A volte è utile che accada questo: che ci si eviti. In questi giorni evito un po’ tutto, al lavoro, forse perché tutto mi fa un po’ male. Rimango in superficie, non mi addentro troppo nelle questioni organizzative, non motivo fino al midollo i miei ragazzi, sembro distratta, inafferrabile. Il mio chef mi parla e io non controbatto: annuisco, guardo fuori, non voglio essere coinvolta.
Alcuni giorni devo comportarmi così, è la mia protezione. Eppure, non funziona, non mi salva, limita solo i danni.

Ho solo paura di non sopportare più nulla. L’insofferenza, l’indolenza. Forse non mi va più di fare questa fatica. Forse non mi va più di giocare con il livello di difficoltà impostato su “altissima”. Eppure, me lo ripetevo stamattina in bici - fra un clacson e l’altro sulla circonvalla, mentre schivavo il cofano di un’auto e smaniavo al semaforo perché ero in ritardo -, lo dicevo a lui ieri sera: io voglio fare tutto, senza limitarmi, senza darmi scuse. 
Voglio fare tutto, nonostante.
Come è sempre stato. Fare le cose nonostante è il mio addestramento, è la mia determinazione, ciò che mi ha reso chi sono - nel bene e nel male.
Io sono, nonostante ciò che è successo, che mi sono causata, che mi è accaduto.

Eppure. A parte tutti questi begli slogan motivazionali - potete riempirci una bacheca di Pinterest, basta metterli su qualche sfondo color pastello -, ci sono giorni in cui accarezzo l’idea di una vita senza nonostante.
Come sarebbe, se io per prima non la rendessi impossibile? 

C’era una luce ideale stasera, mentre in bici aspettavo ferma a un semaforo su via Solari. Mi tagliava il viso da sinistra, filtrando fra i capelli, era tiepida. 
Ci sono queste luci, a volte, che ti regalano una bellezza che non pensi di avere. Nonostante la stanchezza, l’odore di cucina ancora addosso, lo zaino troppo pesante, i jeans a vita alta che stringevano in vita, la maleducazione del commesso nel negozio biologico: nonostante tutto, quella luce sembrava rendermi bella.

In fondo, vedete, i nonostante sono inevitabili. Hanno una loro, innegabile, utilità: nessuna penserebbe mai di poter essere bella, appena uscita da quasi 10 ore di cucina, discussioni, frustrazioni, fretta, stress, 140 coperti a pranzo. Eppure, basta un nonostante per guardarsi nelle vetrine e ritrovarsi, essere un po' clementi con se stessi, sperare in una serata migliore.

nonostante (o nón ostante) cong. [comp. di non e ostante, part. pres. di ostare]. – 1. Ha valore avversativo e introduce l’enunciazione di un fatto che avrebbe potuto o dovuto impedire qualche cosa e tuttavia non l’ha impedito o non l’impedisce.

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