Food Therapy

- Allora, buona serata. A settimana prossima.
Ci stringiamo la mano. Mi soffermo un attimo sulla soglia dello studio, con il tacco dello stivale su quel listino di parquet leggermente rialzato che ho notato la prima volta che ho varcato quella porta.
- Dimmi.
- Io lo sapevo. Lo sapevo che avrei tratto qualcosa da tutto questo. E' il mio talento.

- Ieri sera è successo un episodio. Riccardo aveva comprato della burrata - buonissima, di giornata, dal nostro caseificio preferito di Milano. Sono arrivata a casa e mi ha detto: 
"Guarda che stasera hai 300 grammi di burrata, mangiala, non buttarla."
- Tragedia.
- Un po'. Il fatto è che ormai conosco i miei schemi e anche lui, quindi se discutiamo è perché vogliamo discutere, altrimenti la questione si esaurisce in poche battute. Infatti non abbiamo propriamente litigato, però mi è sempre più chiaro quanto io possa avere davvero poco spazio di confronto con le persone che abitano la mia vita, circa questo argomento. Mio padre stesso, quando settimana scorsa gli ho accennato, en passant, con la massima leggerezza, al fatto che ogni tanto ho delle ricadute, anche solo a livello mentale, è rimasto basito e inquietato. Ma io lo so, lo so già da tempo. Nessuno può, davvero, capire. Arriva sempre il momento in cui l'altra persona sussulta, s'infastidisce, va in cortocircuito perché non si spiega una logica così lontana dalla sua. I disturbi alimentari sono umanamente incomprensibili. Biologicamente, proprio. Animali che scelgono di deviare una delle loro funzioni primarie. Fantascienza. Si ricorda Toys, la sorella del protagonista, che si nutriva solo di pillole? Al massimo, le infilava fra due fette di pane con un velo di maionese.
Ecco, è uno dei transfert cinematografici più rappresentativi dello svuotamento di significato che subisce il cibo. C'è il cibo oggetto e c'è il cibo mezzo. Ci sono i valori nutrizionali, ci sono i grammi, il gusto è un a sè che non ha nulla a che vedere con l'azione di mangiare. Il nutrimento, poi, diventa totalmente astratto. Vede: è fuori dalla portata di chiunque non l'abbia vissuto. 
Anche sua, e sarà d'accordo con me.
Lo scorgo ridere, dietro agli indici uniti sulle labbra, in ascolto.
- Insomma. Il punto non è chi possa capire me, ma chi posso capire io. Lei non immagina nemmeno che brigata di cazzutissimi chef potrei tirare fuori, da un qualsiasi centro di trattamento di DCA.
- Cazzutissimi, non stento a crederlo.
- Glielo dimostro. Cerchi su Google:
Pronuncio il nome di una famosa food blogger.
- Oddio, ma chi è?
- Una food blogger, controlli quanti followers ha su Instagram, apra il suo blog. Vede?
- Sembra brava.
- E' brava. E quanto pesa, lo sa? Io sì, perché ci scambiavamo struggenti tecniche di sostituzione degli zuccheri nelle ricette, qualche anno fa. Quarantuno kg. Ogni mattina, pubblica su Instagram foto di lei dopo una sessione di 45 minuti di cardio. Eppure, guardi cosa cucina. Senza mai assaggiare niente.
- Come fai a sapere che è brava?
- Il gusto di una torta si intuisce dalla struttura. Gli equilibri si vedono in cottura. In pasticceria, è semplicissimo non assaggiare. Ogni tanto ne sbaglia qualcuna, perché cerca di farla troppo light, così magari può mangiarla a colazione, ma, per lo più, è capace. Ed è anoressica.
Fissa il monitor, scorre le foto, riflette.
- Io ho salvato il mio rapporto con il cibo, cucinando. E non sono l'unica. Ma penso potrebbe davvero essere terapeutico. Il cibo è qualcosa di così intrinseco alla nostra società, di così fondante a livello culturale e antropologico, che, a un certo punto, qualcosa scatta. 
Soprattutto se si lavorasse in gruppo.
Siamo animali: relazioni sociali appaganti e istinto condiviso potrebbero far mangiare 300 g di burrata persino alla ragazza del blog.
- Come si chiamava il tuo, di blog?
- Food Therapy.
- Ma pensa.

Commenti

Post più popolari