Cruda o in carpione, sempre meglio la Delica.

Giro la chiave nella porta, ma già lo posso annusare dal pianerottolo - che buffa  parola, pianerottolo, da piccola ero convinta fosse un'invenzione della mia famiglia, una di quelle parole che, a una certa, scopri sconosciuta al resto del mondo -, apro la porta di casa: ha acceso un incenso, prima di uscire. 
Chissà se la costruzione della frase, così, è definita da qualche figura retorica, oppure devo arrendermi all'evidenza che no, non me ne frega più molto di rispettare le regole che cinque anni di Liceo Classico mi hanno inchiodato in testa.

[Adoro quando ci creiamo questi innocenti testimoni, 
piccoli escamotage per rimanere insieme all'altro anche quando non ci siamo 
- soprattutto ora, quando tu esci mentre io rientro, io mi addormento mentre tu stai ancora lavorando
e io mi sveglio senza il coraggio di interrompere il tuo sonno per parlarti.]

Lascio scivolare lo zaino giù dalla spalla alla quale era appeso vuoto e informe, stanco come me, lo abbandono sul pavimento. 
Sfilo le scarpe della palestra - nuove, Nike, morbide, traspiranti, violetto e giallo fluo, regalo della sua famiglia per il mio compleanno, perfette per correre - e cerco la sorgente di quel fumoso profumo: non è sulla solita libreria, non è sull'altra libreria, non la vedo, ah, eccola, sul davanzale, dietro la tenda. 
Torno davanti allo specchio, mi tolgo la felpa, poi la canottiera, rimango in reggiseno sportivo e leggings, a scrutarmi. Non mi vedo dimagrita, ma forse non m'interessa neppure: la magrezza non era il focus quando mi affamavo, figuriamoci ora. Finalmente mi iniziano a crescere le spalle, la mia nuova ossessione. 
Ricordo una foto di me, in divisa, di un annetto fa, frontale: spalle spioventi, inesistenti, mi sembrava di non aver credibilità come chef anche solo per quel particolare. 
Invece, ora, è già da una decina di giorni che noto un differente cadere della doppiopetto bianca. Anche solo per quello, mi sembra di tenere meglio il pass.
E' tanto che non controllo la mia alimentazione come ero solita. Eppure, ogni volta che mi spoglio davanti a uno specchio, soprattutto nell'ultimo mese, rimango sconvolta nell'osservare come i pesi mi stiano stravolgendo il corpo. Ho sempre fatto sport - più che altro corsa dopo aver lasciato la pallavolo, negli ultimi anni -, ma non avevo mai raggiunto un tale tono muscolare generale.
Ho questa sensazione che quando si sollevano carichi vicini al proprio massimale - o quello che per me è il mio massimale a questo livello di allenamento -, lo sforzo sia tale da interessare, anche solo di testa, tutto il corpo, non solo il muscolo che si sta allenando in quell'esercizio.
Sensazioni, solo sensazioni. Non riesco a essere razionale oltre a un certo punto. 
Soprattutto alle 19. Soprattutto il venerdì sera.

Ancora davanti allo specchio, rifletto un attimo se mandargli una mia foto nuda, mentre sta cenando con i colleghi.
Temporeggio, vado a fare la doccia, guardo annoiata la lavatrice da stendere, mi porto il suo computer in cucina per accendere Sky mentre mi preparo la cena.
La Peronaci sta insegnando - no, be', diciamo spiegando - a una ragazza la ricetta degli anellini alla siciliana.

Mi parte, fulmineo, un flashback. 
Sicilia, io, mio padre - c'è anche il resto della famiglia, ma non li visualizzo-, a Palermo, a casa di Antonio - suo importante collega di lavoro: la moglie porta in tavola una pirofila in ceramica, colma di anellini alla siciliana. La mia porzione è dorata e croccante in superficie, generosa di condimento e cremosa all'interno. Non avevo mai mangiato quel formato di pasta, lo guardo ipnotizzata, forchettata dopo forchettata - che strana pasta al forno, senza lasagne
La tavola è imbandita, ricordo un cous cous di pesce, dei crostacei, le melanzane fritte.
La moglie - per un attimo provo a ricordarne, invano, il nome - pare una donna dell'Antica Grecia, con quella tunica bianca, la spilla preziosa, gli imponenti orecchini d'oro.
La villa in cui ci troviamo è meravigliosa, sterminata: nel parco c'è una piscina, due rottweiler entrano ed escono dalla veranda. Io assisto affascinata, dall'alto del miei nove anni, a una scena interessante: la costruita informalità fra mio padre e il suo collega, durante una cena di lavoro in cui non si sfiorano, nemmeno per un istante, gli affari.

Con la coda dell'occhio scorgo la Peronaci friggere delle melanzane impanate in troppa farina, con ancora la buccia e troppo piene di semi. 
Mi volto, lascio cadere nella padella dei quadrati di zucca cotti l'altra sera [no, ancora mezzi crudi, troppo pieni di acqua, già prevedo quanto non mi appagherà], li annego nei miei soliti 200 g di albume in brick, metto il coperchio, lascio cuocere.
L'albume in brick è l'emblema della mia attuale gabbia dorata: qualcosa che non avrei mai pensato di arrivare a mangiare, ma che mi rassicura, mi è comodo, mi toglie ogni pensiero anziché alimentarne. Mi sazia. Il più delle volte riesco anche a renderlo gustoso, 
stasera no, non mi va, sono distratta, affamata, c'è troppo silenzio.
Come previsto, la cena fa schifo: tutto o crudo o bruciato, sciapo, senza consistenze. 
Leggo cose su Internet e, intanto, consumo quella punizione di pasto.

L'incenso è finito, vorrei scrivere molto, ma mi bruciano gli occhi. E' troppo presto, penso, buttando l'occhio all'orologio dell'iPhone. Mi guardo attorno, osservare casa mi pacifica.
Stasera c'era una luna perfetta. Un'impeccabile goccia di crema inglese nel cielo scuro.

- E' raro trovare un partner che voglia scoprire, far emergere, i lati migliori di noi. 
Di solito, si creano antagonismi.
- Mi sento così pigra.
- O impaurita?
- Quando ci azzecca mi viene da piangere.
- Vuoi un fazzoletto?

- Mi sembra di aver vissuto troppe vite, ma di non essere mai stata qualcosa, qualcuno, me.

- Capisce che mi sento in trappola? Non voglio essere... comune.
- Certo, altrimenti avresti fatto l'impiegata. Avresti lavorato per tuo padre. Avresti finito l'Università.
- Perché non riesco ad arrendermi?
- Un'ape regina non può diventare un'ape operaia. E' un marchio. 
Non conosco ancora le tue ragioni di vita, ma questa noblesse, queste pretese, questa follia, 
hanno un senso. Anche solo per il fatto che hanno senso per te.
- Perché mi fa male tutto?
- Non si può guarire dalla vita. Possiamo alleviarne i sintomi, ma guarirne mai.
- Non ho mai fatto sogni ricorrenti. Non ho mai nemmeno sognato il mio esame di maturità.
- Gli stimoli fanno male, quando si ha paura di svegliarsi.
Ecco perché i proiettili, i balconi, i pugni nello stomaco, le piscine in cui annegarti.

- Innanzitutto, facciamo così: niente colpi di testa. Niente licenziamenti, fughe, discussioni letali. Mantieniti sotto una soglia di sicurezza, sforzati anche solo in questo. E fidati di lui, fai ciò che ti propone anche quando fai fatica, come ieri sera. E' pericoloso quando ci chiudiamo in noi, 
bisogna sempre mantenere un punto di contatto col mondo. Scrivi, se lui ti dice di scrivere, scrivi. Anche quando non hai nulla da raccontare. 


- A settimana prossima.
- Senti... è periodo di zucca, vero? Io amo la zucca in carpione, immagino saprai di cosa si tratta. Quale zucca è meglio utilizzare?
- La delica, o mantovana. Sempre quelle, sono le migliori per qualsiasi preparazione.

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