Dai tortellini in poi.

- Prima di ogni pasto diciamo "itadakimasu", ovvero ringraziamo colui che ha cucinato per noi. Non "buon appetito", come voi. Quando puliamo la verdura ci mettiamo la stessa sacralità che metteremmo in un rito funebre: per noi è come ucciderla.

Quasi mezzanotte. Cerco di fissare nella testa nomi e concetti. Porcellane, piatti, tecniche di cottura, marinature. Guardo le foto dei suoi coltelli e penso che più di una marca mi è totalmente sconosciuta. 

- Per una volta, vorrei sapere cosa significhi arrivare in alto. Non m'importa il prezzo da pagare.
- Tu lo sai quanto mi fai incazzare. Spesso. E volentieri. Non hai bisogno di tutta questa fatica.
Ma non posso che ammirare la tua caparbietà.

Fa freddo, sono le sei del pomeriggio, camminiamo lungo Corso Magenta compatti, io davanti e loro due dietro, ogni tanto si avvicinano tanto da venire sfiorati dalle lunghe code del mio cappotto.
Mio fratello sta raccontando di come, domenica scorsa, gli sia morto il padre di un suo amico sotto le mani, mentre cercava di rianimarlo dopo un infarto.
- Eravamo a casa sua, abbiamo sentito un tonfo, giù per le scale.
- L'ambulanza è arrivata dopo quindici minuti. Si dice che dopo ogni minuto di battito assente si abbia il 10% di possibilità in meno di salvarsi.
- Il defibrillatore pubblico non funzionava.
- Per fortuna che in Croce Rossa mi hanno insegnato.
Ascolto in silenzio. Lo abbraccio. 
- Non te lo dico mai, ma sono fiera di te -, gli scrivo, qualche ora dopo.
Mio fratello non parla mai. Non racconta mai. 
E' magro-magro e, secondo me, ha gli occhi più belli di tutta la famiglia: buoni, e blu come il mare quando il cielo è nuvoloso. Nessuna sfumatura, l'iride totalmente di quella tonalità. 
Mi chiede se l'accompagno a scegliere un paio di orecchini per la sua fidanzata.
- Certo.
Vorrei che rimanesse a cena. Vorrei tenerlo un po'. Tenerci un po'.

- Era diverso il modo che avevano di lavorare. Non c'era fretta, non c'era ansia. Ogni procedimento aveva il suo tempo, quello, non si cercavano scorciatoie e si poneva attenzione in ogni gesto.
Quando mio nonno faceva la pasta sfoglia... aveva mani enormi, ma era esile, per quanto alto. Passava e ripassava quel matterello in marmo sull'impasto. E alla fine era così laminato, così laminato... perfetto.
O quando si mettevano tutti, il nonno e la nonna, a chiudere i tortellini. Avevano questi lenzuoli di pasta, sottilissima, leggera, sporca di semola o di farina di riso, per non farla inumidire. E iniziavano, piano, ma costanti, a chiudere tortellini. E a fine giornata ce n'erano distese, coprivano i tavoli. Tutti perfetti, minuscoli, chiusi in quel modo, i lembi di pasta perfettamente sovrapposti. 
La punta rigirata, così, sempre. 
Ci ho provato, ogni tanto, da piccolo... andavo in laboratorio, ma non ero capace. 

- Anche il tempo era vissuto in modo totalmente diverso, con maggiore rispetto. Lui si alzava alle tre del mattino, scendeva in laboratorio, impastava il pane fino alle otto. Avevano tre impasti: acqua e farina, acqua e farina e olio oppure acqua farina olio e strutto. Ah, il pane allo strutto... facevano questi pani enormi, chiari di crosta. 
Appena sfornati ne spezzavano uno, aveva un suono... così friabile.
- Sembra quando si staccano le lastre di neve in montagna, vero?
- Sì, esatto. E un profumo, ma un profumo... Comunque, alle otto risaliva, faceva colazione con mia nonna, poi tornavano in laboratorio insieme. Lei si dedicava alla pasticceria secca e alla pasta fresca. Lui infornava. Poi, la nonna Meme risaliva a preparare il pranzo. Alle 13 si pranzava, con il pane appena cotto e quello che c'era. Uova, formaggi, salami. Mio nonno poi si riposava fino alle 17. Chiudevano il negozio insieme. Cenavano. Alle 21 lui era a letto, leggeva tantissimo. Lei aveva le sue cose da fare, ma rimasero sempre una coppia. Ognuno con i propri compiti, ognuno con il proprio lavoro e il proprio spazio per riposare. 
Vedi, c'era rispetto; per tutto, dai tortelli in poi.

Mi si chiudono gli occhi dalla stanchezza. Scrivo a mio padre, lo ringrazio dei racconti. Se avessi un modo, scriverei tutto, continuerei a far vivere i miei nonni e il loro pastificio a Mantova, così come ogni altro dettaglio del passato che mi racconti di sincerità, passione, lavoro.
- Dovevi vedere quanti albumi montava a mano, con la frusta, quando doveva fare i savoiardi. Eppure, non si è mai lamentata. Mai una volta.
- Non c'era fatica, nel fare.
- No, esatto, non c'era fatica. 
Mi manca non avere scorciatoie. Mi manca non trovare gli animali già disossati e puliti, in sterili sacchetti sottovuoto. Mi manca quella stanchezza orgogliosa. Mi manca contemplare un lavoro ben fatto.
Settimana prossima, tirerò la pasta a mano, per la prima volta in vita mia.
- Guarda che puoi prendere il pastamatic.
- Voglio provarci. Non posso non aver mai steso una sfoglia a mano.

- Lavora bene e cerca di mangiare cose buone.
[Alberto Moravia a Elsa Morante]

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