Immenso.

La mattina esco in bici presto, con gli occhi tutti annebbiati dal sonno, il tuo cappellino calato sulle sopracciglia, il naso sotto il collo in pile di Decathlon. Pedalo fra le auto in coda sulla circonvallazione, con più o meno fatica, incredula del freddo che riesce a esserci alle 8 del mattino,  compilando mentalmente la lista delle cose da fare - spera che Metro non sia già arrivata, altrimenti firma la bolla con la giacca abbottonata storta e lo chignon scompigliato, accendi il bollitore, prima di mettere su la focaccia metti a lessare le patate, programma il forno, mi raccomando, le cappe!, altrimenti il capo s'incazza, incrocia le dita per il buon umore dello chef, e fatti un caffè, per Dio.
Milano d'inverno è bellissima. L'ho sempre pensato, ogni volta che mi ci sono trovata a prendere freddo. L'aria tersa la rende così definita, lineare, lucida. 
Giro in via Tortona e il riverbero del sole sui vetri di certi uffici mi abbaglia. Oltre al Ponte delle Milizie, qualche striatura rosea dell'alba attraversa ancora il cielo. 
Sono sempre stata mattiniera, l'aurora è uno spettacolo più esclusivo, rispetto al tramonto.
Svegliarsi presto è un dono di pochi: significa avere tutto quel tempo a disposizione, con la conseguente consapevolezza di aver già inanellato un tot di azioni prima che gli altri inizino a compiere le loro.
Ho sempre amato quella sensazione lì: dare il buongiorno agli altri essendomi goduta uno spicchio privato di giornata, prima, un'ora solo mia, con una luce che pochi conoscono.

Oggi sono tornata a casa e ho trovato un albero.
Anzi, l'albero.
L'anno scorso, avevamo festeggiato il nostro Natale privato - il 26, dopo che ognuno avesse assolto gli obblighi famigliari - in una casa spoglia e disordinata. 
Ci eravamo promessi un futuro più accogliente. 
Ti avevo regalato delle palline per l'albero - tutte diverse: di vetro, satinate, rosse, grigie, bianche, pesanti, leggere -, con la promessa che saremmo riusciti a decorarne uno, l'anno seguente.
Oggi pomeriggio sono tornata a casa e tu l'avevi portato, l'albero.
Ti sono saltata addosso ancora vestita, parka, cappellino, collo di pile e zaino.
Ci sono abitudini che dimentichi, quando vai a vivere da solo. Il Natale è una di quelle: sembra che non esista senza una famiglia con cui festeggiarlo, che non abbia senso, da soli. 
Guardarti appendere quelle palline, oggi, quelle sferette delicate che avevano atteso questo momento per un anno, al buio nella loro scatola, è stato immenso.

Averti è immenso.

A volte, osservo le persone attorno a me - colleghi, capi, clienti, fornitori, gente che incrocio per strada -, osservo e ascolto le loro conversazioni, immagino le scene che mi raccontano, quello che fanno a casa, durante il tempo libero, come si svegliano, come fanno la spesa, come scandiscono il loro tempo.
Li osservo in silenzio, con un mezzo sorriso ineffabile. A volte, mi sembra di avere un super potere.
Quelle volte in cui mi sveglio da una notte che abbiamo trascorso abbracciati, per esempio.
Essere innamorati è un super potere.
Si fanno alberi di Natale bellissimi. E non si annodano mai le lucine. 

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