19 gennaio.

Preparo la seconda tazza di tè. Verde, tostato. Verso l'acqua bollente, un po' cade fuori dai bordi di ceramica grigio-azzurro-ikea, sbuffo, asciugo. Mentre s'infonde pulisco l'estrattore - stamattina volevo farmi una spremuta, ma non ho più trovato lo spremiagrumi.
Ogni giorno ho paura di quello che non troverò più.
Torno al tavolo, nella mia agognata luce, in questo silenzio perenne, scrivo in un nota del telefono un paio di idee per il menù nuovo di settimana prossima. Sfoglio un libro.
Apro Twitter, nessuna notifica.
La mia vita senza te, mi sembra il sardonico ritornello di questi giorni.
Tutto è molto faticoso. Il lavoro, discutere, svuotarsi.
- La bulimia porta un rapporto conflittuale sia col pieno che col vuoto: sono entrambe situazioni insopportabili, inaffrontabili. E la via di mezzo pare impossibile, insostenibile, temporanea.
Sto leggendo un libro in cui la ragazzina racconta, come fossero quei poster che, da piccoli, abbiamo appesi in camera, con delle figure che rappresentano qualcosa che inizi con quella lettera - "A" - "aereoplano" -, i traumi della sua infanzia. 
"D"- "depressione": mia madre chiusa in camera da letto, al buio, a fumare.
"R" - "rabbia": mio padre che ferma l'auto nella corsia d'emergenza e scende, iniziando furioso a camminare, in autostrada.
Traumi.

9.25, devo andare al lavoro.
Cerco integratori su internet che mi diano energia e lucidità.
Mi sembra continuamente di dover correre mentre piango.
- Come stai?
- Ho un nodo alla gola da lunedì.

Trovo sempre così buffo il modo in cui gli esseri umani descrivano gli stati emotivi.
Nodo alla gola.
Da cartone animato.

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