Ready player one.

Scorro le schermate dell'iPhone, arrivo al meteo: danno neve fino a sabato.
Controllo meglio, non voglio illudermi. Le massime arrivano a +2.
Mia madre diceva che può nevicare fino a +4 - anzi, sopra lo zero i fiocchi sarebbero stati più grandi e soffici, era la neve migliore.
La neve era una delle meraviglie che avevamo in comune. Eravamo le uniche a diventare felici, felicissime, quando fuori tutto diventava bianco e impenetrabile. Papà si arrabbiava - per lui, sempre in auto, significava solo disagi-, i miei fratelli erano piccoli e indifferenti: io e lei monitoravamo la situazione scostando le tende a intervalli regolari, organizzavamo spedizioni nei boschi dietro casa, facevamo giocare il cane nei cumuli che riempivano il giardino, lasciavamo un po' di biscotti sbriciolati sui davanzali, per gli uccellini affamati.
Non l'ho mai ammirata, ma abbiamo così tanto in comune.
Mi ha insegnato tutto ciò che ora mi trattiene piccola e femmina.
Gli animali, le piante, i fiori, le stagioni, la fitoterapia, l'alimentazione sana, le verdure, lo sport.
Mio padre m'insegnava il sublime, mia madre il semplice.
Mio padre la filosofia, mia madre la muscolatura.
Mio padre il lavoro, mia madre lo studio.

Ogni tanto cerco di negarmi tutto ciò che mi colleghi a lei.
Di essere solo la figlia di mio padre.

Maschile e femminile continuano a rincorrersi, in questi ultimi giorni.
Anche questa settimana ho saltato l'analista.

Ogni tanto la mia realtà rallenta, gli istanti si dilatano, le dimensioni si moltiplicano.
[Oggi, a fine servizio]
Faccio scorrere lo sportello del pensile in acciaio sopra la mia partita, stringo le dita attorno al bicchiere, bevo tutta l'acqua frizzante rimasta. Appoggio nuovamente il bicchiere sul ripiano interno all'armadio, mi fermo qualche secondo.
Pensa, mi dico, se ora ammettessi la verità, cosa accadrebbe.

Forse, un trucco potrebbe essere questo, immaginare di non potersi nascondere, di non poter avere una doppia vita.
Pensa, quanto ti imbarazzerebbe, quanto ripudio proveresti per te stessa se ti scoprissero.

Pensa, se ora semplicemente dicessi: - Ragazzi, vado dieci minuti a vomitare, poi torno.
Pensa. Anziché inventarti uno dei tuoi "Vado in magazzino a controllare quante uova sono rimaste" "Parlo un attimo con lo chef" "Esco a fumare una sigaretta".
Agogno una realtà perfetta, combaciante in tutti i suoi aspetti, proprio perché mi impedirebbe di scappare. Se le regole fossero davvero rigide, se io dovessi davvero fare tutto quello che dovrei fare, se i responsabili fossero davvero responsabili, se le scadenze andassero davvero rispettate.
Minore la libertà, maggiore la salvezza.

- Ragazzi, vado dieci minuti in magazzino a fare un check di quanto pane abbiamo nel pozzetto.
- Tranquilla.
- Certo, io intanto faccio il personale.

Di minuti ne passano diciassette. 
Esco dal bagno, mi sistemo il grembiule, il capo è al telefono - probabilmente con la moglie, parla dell'ora in cui rientrerà a casa, stasera, in taxi -, mi lancia un'occhiata, si volta. Mi controllo velocemente nello specchio alla mia destra: non mi si è nemmeno sbavato il mascara. 
Cammino svelta dietro il bancone del bar, scambio due battute con i camerieri mentre mi verso un bicchiere d'acqua, rientro in cucina.
Il pranzo per lo staff non è ancora pronto, uno dei miei colleghi è uscito a fumare, lo chef ride al tavolo con una collega.
Il sistema è troppo debole. Non mi salverà mai.

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