Giugno, 2018

Se mi chiedessero come si faccia a ricominciare, non lo saprei spiegare.
Bisogna sbagliare. Tanto, in modo da pensarsi inesorabile e irreparabile.
Bisogna arrivare a un punto in cui sei convinta di odiarvi. Di aver spazzato via tutto l’affetto, 
tutto il bene, tutto il sentimento di fiducia.
Bisogna vivere senza, per un po’. Riuscirci. 
Pensare di avere una nuova routine, dei nuovi luoghi, dei nuovi gusti.
Pensare che non sia male dormire soli.
Non guardare nemmeno il telefono in attesa di una buonanotte.

Poi, fatto tutto questo, non so dire come abbiamo ricominciato.
Ricordo di essere stata disperata, sola e brutta, quel pomeriggio in palestra, 
mentre mi accorgevo che c’eri anche tu.
Ricordo di essere entrata a casa tua con la diffidenza di un animale che muove il primo passo in un territorio sconosciuto.
Ricordo di aver pianto. Di essermi ubriacata. Di non aver mai capito come avesse fatto a sopravvivere tutto quel bene, oltre al dolore che avevamo provato l’una per l’altro, l’uno per l’altra.
Ho dormito da te. E la mattina sono andata al lavoro senza capire molto.
E ci sono state altre domeniche. Di vino, supplì e tramonti dal tuo balconcino. 
Senza nemmeno baciarsi, per settimane.
Abbiamo ballato per la prima volta in due anni, a casa, senza nessuno attorno.
“Tu, in mutande, con il calice di vino in una mano e una sigaretta nell’altra, sei una delle cose più belle che abbia mai visto”
Abbiamo discusso decine di altre ore. Silenzi, gola serrata dall’ansia, pianti, telefonate furiose, addii.

Poi, un pomeriggio abbiamo fatto il bagno insieme. L’acqua nella vasca era rosa e dalla finestra aperta giugno entrava tiepido.
La sera mi hai portata a cena in un ristorante dove non si mangiava “nè pizza nè orientale”.
Mentre camminavamo verso il Duomo osservavo le nostre ombre e pensavo:
“Vedi, come siamo
 adatti”.

Abbiamo sbagliato molto. Sofferto tanto. Fatto per un po’ da soli.
Forse siamo migliorati.
Tu mi sembri bello come non mai.

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