Tutto ciò di cui ho bisogno, tutto ciò che non so più fare.


Poi accade che decidiamo di uscire di venerdì sera,
ognuna con la propria brutta notizia delle 18, la stanchezza, la voglia di non pensare. 
(La tentazione dell'oblio, dello scivolare, delle ore liquide,
la notte che sembra una parentesi senza confini)

Via Lecco il sabato sera è chiassosa, appena dietro l'angolo ci sono nugoli di persone che vociano, che bevono da bicchieri di plastica, che stridono.
Noi ce ne stiamo seduti fuori dal Socialist, è l'una, abbiamo tre bottiglie di vino aperte sul tavolo, fumiamo erba e parliamo.
Indosso una minigonna nera dopo non so quanti anni a coprirmi sempre le gambe. Sotto la canottiera non ho il reggiseno. Non ho idea di come siano i miei capelli e non me ne preoccupo.
Sento l'estate, ho bisogno di stare così: con pochi vestiti addosso e la mente vuota.
Tu e Gaia parlate. Io vi osservo, ascoltandovi, ogni tanto mi disconnetto dalla conversazione, penso che vi voglio bene e che sia tutto più giusto così.
Guardo le perle di Gaia riflettere, opache, la luce delle candele e mi chiedo se non si stanchi mai di indossarle.
Parla dei suoi uomini e io vorrei schioccarle le dita davanti e mostrarle la realtà.
Ma i sognatori non vanno svegliati, forse. Forse finché l'illusione regge non bisogna spegnerla.
Tu vai in bagno. Gaia mi guarda seria: - Non lo credevo così consapevole.
Stringo le spalle e penso la solita frase del cazzo che permea la mia vita: Soffrire fa crescere.

Chiudiamo il locale. Saliamo in auto, guidi tu perché io sono totalmente ubriaca.
Mi metti l'erba in borsa, abbiamo una bottiglia di vino, due di acqua di cui una aperta.
- Dai, dammi 'sta canna che non puoi fumarla mentre guidi.
Alziamo la musica. Ho questa nuova fissa per la techno che non so quando mi lascerà - solo al mattino presto ho bisogno di altra musica.
Sul cavalcavia per Isola ci affianca Gae Aulenti e il suo skyline. 
Quanto è bella Milano di notte. Diventa metallica, lucente, sottile.
La nostra Gotham City, penso fra me e me, richiamando una conversazione di qualche giorno prima. 
L'aria dai finestrini mi frusta i capelli. Quanto sto bene.
Facciamo salire Simone in macchina e ci muoviamo verso il Monumentale. 
Parcheggiamo.

- Shottiamo il Radikon - dici poco prima dell'entrata.
Finiamo la bottiglia e l'abbandoniamo sul sellino di un motorino.
Fumo altre due sigarette, forse, non so. Entriamo in quella che sembra una radura in città, buio e luci - violette e rosse.
Ci timbrano la facciata di un tempo sui dorsi delle mani.
Loro due vanno avanti, noi camminiamo dietro.
Ti cerco la mano, chiudo le mie dita attorno fra le tue. Ci guardiamo.
Ci sono altri nostri colleghi, il posto non è pieno come lo immaginavo, la musica rimane lontana, in fondo. 

Qualcosa s'inceppa. Forse ho bevuto troppo, forse era troppo che non fumavo, ma è come si mi accorgessi di non voler stare lì.
Sempre quella sensazione di essere un animale di un'altra razza.
Gaia si siede con me.
- Non sto tanto bene, forse vado a prendermi un Plasil in macchina.
Tu mi accompagni.
Non sto per niente bene.
Decidiamo di tornare a casa, abbandonando la serata e gli altri.

- Sicura che non ti mangeresti un panino?
La sola idea mi sembra assurda.
- Troppa nausea.
Poi non ho mai mangiato un panino da uno di quei chioschetti a lato strada, ma qualcosa di te che fa sempre in modo che mi fidi, alla fine.
Prendiamo due hot dog senape e ketchup.
Un tizio si avvicina. L'umanità è sempre così particolare alle 4 del mattino, soprattutto di fianco a un chiosco che vende hot dog in Piazza Frattini.
Vorrei ricordarmi tutto quello che ci ha detto. A parte "Siete belli", parecchie volte. 
So che quando siamo arrivati a parlare di tautologie ci siamo salutati.


Mentre camminavamo verso casa tua ho scrutato il cielo.
- Dici che sta albeggiando?
- No, per un cazzo, è buio pesto, Agne'.
Per fortuna. 
Perché, ora, a distanza di quasi un anno, le albe mi mettono solo ansia. 

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