Sbatti

- Ciao Ted, buonanotte.
Gli stringo una spalla, in bilico sulla bici.
- Ciao Agne, riposati.
Mentre cerco una canzone da ascoltare lo seguo con lo sguardo. Sorrido: che bene gli voglio. 
Ted è di Manchester, ma è stato adottato da una famiglia di Alghero. Da qualche anno vive a Milano solo con la madre. Dormono nella stessa stanza, perché l'altra l'affittano per coprire le spese.
Quando è entrato in cucina, ad agosto, portava una barba lunga e incolta, e grossi rasta tutti annodati.
Non aveva mai cucinato niente oltre al pollo al curry. 
A ottobre, una mattina, è arrivato con la barba rasata e i capelli corti, lucidi, pettinati. Ormai sapeva reggere un servizio in partita da solo, aveva imparato a fare gli ordini in modo funzionale, stava diventando responsabile dei suoi compiti all'interno della cucina. 
L'ho guardato, ho annuito: i miracoli si fanno tante volte con la disciplina.
Per Natale voglio regalargli un coltello - perché mi ricordo quando ero anche io una stagista e la differenza più dolorosa con gli altri era che tutti lavoravano con il loro coltello personale, mentre io utilizzavo quelli con il manico di plastica e la lama scadente, in dotazione; ogni mattina guardavo i miei colleghi estrarre i loro preziosi trincianti, mentre io staccavo dalla barra magnetica un coltello qualunque, con cui non avevo alcun rapporto affettivo.
Poi, mi hanno regalato un coltello. 
E da stagista ho iniziato a fare la cuoca. 
Poi, mi sono tagliata con il mio coltello e da fare la cuoca ho iniziato ad esserlo.
Accade così.

Dopo la prima curva mi ricordo di essermi dimenticata, anche oggi, di oliare i pedali, che cigolano sotto i miei piedi. Sbuffo. Poi torno a nascondere il naso nel collo di pile e mi tiro su il cappuccio: stanotte c'è un freddo davvero impietoso.
Alla fine, sto ascoltando Gazzelle.
Salmo al mattino (una canzone e mezza al massimo), mentre sfreccio fra le auto in coda, taglio la strada a quelle che si affacciano dagli incroci e mi faccio insultare dagli autisti dei pullman. Vado così veloce che arrivo al lavoro con i quadricipiti in fiamme e la schiena sudata. Mi sveglio, è la prima botta di adrenalina della giornata, scendo dalla bici con la testa sgombra e i pensieri lucidi, organizzati. Entro al ristorante e saluto tutti con voce squillante, porto il caffè in cucina, preparo la mia partita e non mi fermo fino a mezzogiorno e trenta. Poi, in questo periodo, cantiamo tutti Salmo al lavoro. C'è sempre un momento, verso le 11.30, in cui lo staff inizia ad essere al completo e, mentre attraverso il ristorante, sento canticchiare almeno 4-5 pezzi diversi.
Ci dà energia.
La sera, invece, torno a casa più lentamente, scoraggiata dal gelo e appesantita dalla stanchezza, e metto Gazzelle. 
Via Stendhal, via Solari. Il 14 fermo in Piazza Napoli. 
Un nugolo di persone che aspetta la 90. 
Il Ducale sulla sinistra. 
Sospiro, mentre aspetto il semaforo.
Ogni punto fermo, ogni punto saldo.
Soffermo lo sguardo sulle locandine del cinema, senza davvero leggere i titoli dei film. Penso a quella sera. Spesso mi chiedo se ogni tanto tornino in mente anche a te, certi istanti, certi frammenti, 
certe diapositive.
Chissà dove sei, ora.

L'ultimo tratto di strada lo percorro senza pensare, quasi, cercando di sopravvivere al freddo. 
Scendo dalla bici, apro il cancello, la lego. 
Mentre salgo le scale mi tolgo i guanti, sblocco il telefono.
Silenzio.
Apro la porta di casa. Faccio scivolare lo zaino dalle spalle e ripenso ai vestiti della palestra, che mi ero portata stamattina nella speranza di fare pausa e riuscire ad allenarmi. 
Mi guardo allo specchio.

Belle occhiaie.

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