Distrazione

(scritto settimane fa)

Ogni tanto - spesso - guardo le foto di quelle che si dicono - si professano, si vantano - magre e penso: sono come loro, eppure io mi vedo ingrassata (non per forza grassa, è sufficiente ingrassata).
E io sono chirurgica, nell’osservare i corpi, sono anatomica nel valutare la percentuale di massa grassa e massa magra, sono millimetrica nello smontare le pose che fanno sporgere le ossa e assottigliare la pelle. 

I corpi non m’ingannano, non possono ingannarmi.

Ho trascorso anni a sentire, percepire, ogni minimo cambiamento, movimento, ogni minuscola variazione di tutto ciò che esisteva sotto la mia pelle. Ho passato le notti ad accarezzarmi le ossa per controllare che la pelle rimanesse sempre tesa allo stesso modo - ogni tanto, toccandomi quelle del bacino, mi dicevo “Adesso mi apro, adesso le ossa mi bucano”, come accadeva con i piccioli delle pere acerbe nei sacchetti di plastica del supermercato - non è mai successo.

Spazzo via, col lato della mano destra, qualche briciola che è rimasta sul tavolo, traccia delle due fette di pane che ho mangiato dopo cena.
Butto la testa indietro, curvo la colonna vertebrale sullo schienale della sedia, mi aggancio le mani sopra gli occhi, chiusi.
Vorrei, vorrei, ricordarmi come sia scivolata via, tutta quella disciplina.
Come lentamente sia diventata più clemente con me stessa.
Come abbia iniziato, grammo dopo grammo, a pensare di meritarmi il cibo.
Torno a fissare il computer. 
Faccio ruotare le spalle, sento i muscoli indolenziti dopo l’allenamento di ieri.

Mi sembra di essere rimasta sempre uguale, ti ho detto l’altra notte, 
mentre guardavo qualche vecchia foto.
Dai cinquantacinque chili in poi tutto è stato uguale. 
Una volta che torni a vivere tutto è uguale.
Uguale assomiglia a normale.

Puoi fare sport, puoi prendere la patente perché non assumi più dosi massicce di psicofarmaci, puoi andare in gita scolastica, puoi mangiare a casa da sola - senza qualcuno a controllarti, puoi uscire a bere, puoi non essere più un problema durante i pranzi in famiglia, puoi non essere il centro catalizzatore di tutto il dolore della tua famiglia.
Tutto torna normale, dopo i cinquantacinque chili.
Ogni tanto cerco di recuperare il momento in cui ho lasciato che tutto si spegnesse, il momento in cui ho deciso di non voler più essere un problema, il momento in cui sono stata troppo stanca di tutte quelle attenzioni per smacchiarsi i sensi di colpa.
Ogni tanto vorrei ricordarmi quando ho deciso di ingrassare.
Devo essere stata molto distratta.
O, forse, se è vero che un disturbo del comportamento alimentare si instaura per evadere e, quindi, sopravvivere a una contingenza troppo dolorosa, è altrettanto vero che il meccanismo si disinnesca quando hai bisogno di muscoli, cervello, concentrazione sufficienti a tenerti in vita e attraversare tutta la merda.
Ci sono volte in cui per salvarti devi quasi morire di fame e, altre, in cui devi nutrirti per scappare, essere forte, guidare di notte, pagarti l’affitto, imparare ad amare, vivere con gli altri.
In un modo io nell'altro,  il tuo corpo ti fotte sempre.



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